Lo chiamano “piantare maggio”. E’ il rito più antico delle colline, a metà tra la festa campestre e il gesto propiziatorio.
E allora metti una sera tra gli occhioni spalancati dei bambini, i balli, la musica, le melodie che vengono dall’altro secolo, una piazza come quella di San Giuseppe di Sommariva Perno che s’apre su campi di pesche, mele, fragole, metti le magìe della notte e la storia è fatta.
Arriva il pino. E’ il protagonista, porta i segreti dei boschi, ma anche il profumo di un momento che cerca di preparare il buon esito dell’annata.
Gesti e canti che giungono dalle tradizioni precristiane riempiono le ore scandite dalla musica, dal pasto improvvisato, dalla luna che scompare oltre le nubi.
Pianté magg è la lenta vestizione dell’albero, quasi un parafulmine, che con fiori, nastri colorati e cascate di verde starà lì, bandiera e mito, simbolo e baluardo di ciò che verrà.
E’ così ogni anno tra Langa e Roero. E, mentre le ombre s’allungano, attorno ai fuochi si balla e si canta. Semplicemente, quasi a voler esorcizzare, allontanare, spostare chissà dove i momenti delle lacrime e della malora e lasciare aperto nel vorticoso intricarsi di braccia, mani ed occhiate, il libro della vita che si riaccende dopo la lunga attesa di un inverno che ancora gronda freddo e pioggia, ma annuncia l’estate che finalmente verrà.
Gian Mario Ricciardi